Corpi di pace per una difesa civile

Martina Pignatti MoranoUna riflessione di Martina Pignatti Morano (Tavolo Interventi Civili di Pace – www.interventicivilidipace.org)

CCP: non una sigla, ma una speranza da alimentare

L’associazionismo, le comunità locali, le chiese e i movimenti sociali italiani si muovono da decenni per costruire ponti di pace e solidarietà con popolazioni in zone di conflitto, ma queste pratiche non sono finora state riconosciute dalle istituzioni se non in rare occasioni. Non se ne accorge la Farnesina, ma sono molti gli attivisti nonviolenti e operatori di pace in Palestina, Congo, Mozambico, Sri Lanka, nei Balcani e in molte zone calde del pianeta a conoscere il potenziale italiano di trasformazione nonviolenta dei conflitti, a sentirsi protetti e rafforzati dalla presenza sul campo di volontari e professionisti italiani, anche se spesso agiscono per conto di organizzazioni internazionali (Nonviolent Peaceforce, Peace Brigades International, ma anche gli UN Volunteers). Era urgente e necessario che una Campagna nazionale unisse le forze della società civile italiana per gridare che un’altra difesa è possibile e già ne esistono, in nuce, gli strumenti. Sono corpi civili di pace, i costruttori di quella pace positiva che intendiamo come cessazione della violenza ma anche come affermazione di diritti umani e giustizia sociale.

Le loro associazioni si coordinano nel Tavolo Interventi Civili di Pace, che promuove l’azione civile, non armata e nonviolenta di operatori che, come terze parti, sostengono gli attori locali nella prevenzione e trasformazione dei conflitti, in Italia e all’estero. L’emendamento introdotto a fine 2013 nella Legge di Stabilità, che autorizza la spesa di 9 milioni di euro in tre anni per l’istituzione di un contingente di Corpi Civili di Pace (CCP), ci fornirà spazio istituzionale per sperimentare questo tipo di interventi tramite il sistema del servizio civile, che già ha mandato istituzionale ad attuare la difesa della patria con modalità non armate. Ma la realtà dell’ultimo decennio ha evidenziato come il Servizio Civile Italiano possa essere solo palestra di pace per giovani volontari, non l’istituzione atta a coordinare gli operatori di un sistema di difesa civile. E’ necessario per questo un Dipartimento apposito, che associ il “braccio” dei Corpi Civili di Pace al “cervello” di un Istituto di studi e ricerche sulla costruzione della pace con mezzi civili, e sulle strategie di disarmo.

Solo un’architettura istituzionale di questo tipo, capace di raccordarsi con l’intero sistema già esistente di protezione e servizio civile, può consentirci di avviare un vero percorso di transarmo, in cui gli strumenti militari vengono gradualmente sostituiti e superati da interventi civili. In quindici anni nel mondo il numero dei formatori, degli operatori e dei corsi universitari di Peacebuilding civile è cresciuto esponenzialmente, oggi il Segretario Generale delle Nazioni Unite si fa aiutare da un Peacebuilding Support Office (PBSO), il Servizio per l’Azione Esterna dell’Unione Europea è dotato di un’apposita Conflict prevention, Peace building and Mediation Instruments Division, che offre sostegno ai servizi geografici, alle delegazioni, ai rappresentanti speciali dell’UE e agli alti dirigenti del SEAE nel prendere decisioni in materia di pacificazione, mediazione e prevenzione dei conflitti. E’ sufficiente quindi guardare a questi esempi per comprendere che anche l’Italia può dotarsi di personale e mezzi di costruzione della pace. L’associazionismo italiano vuole essere protagonista di questa trasformazione, e per questo il Tavolo Interventi Civili di Pace sostiene con forza la campagna Un’altra difesa è possibile!

Tratto dal numero speciale di Azione Nonviolenta dedicato alla Campagna “Un’altra Difesa è possibile!”

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